lunedì 5 luglio 2010

gisele

portable ground project

simona da pozzo

cavaliere termico


METTI un laureato in filosofia con la fissa per Guy Debord e un contratto in scadenza con un settimanale di gossip che in cambio di una riconferma gli affida la missione impossibile di un supervip da cogliere in flagrante. In una Milano inaspettata dove si annidano maghe, fanatici esoterici, fantasmi, piccoli locali notturni, intrugli di psichedelia avanzata e monolocali in disordine, il nostro eroe, ovvero Gigi Lobo, deve scovare il principe Andreas Gotha-Gotha, eccentrico rampollo di una piccola ma potente dinastia, di giorno studente in Bocconi, di notte writer che dissemina di tag i muri della città. Nel suo primo romanzo, Il cavaliere termico (Sedizioni), Enzo D'Antonio, 46 anni, napoletano arrivato a Milano da bambino, ci ha messo molto della città dove è cresciuto e vive. Con il suo protagonista condivide la laurea in filosofia, un'idea precisa sulla società dello spettacolo e l'esperienza come redattore a "Novella 2000". Non nasconde di essersi ispirato a Pierre Casiraghi e Beatrice Borromeo per i personaggi del principe Andreas e della sua bella Tatiana, così come ammette che i colleghi di un tempo sono entrati in massa a colorire le descrizioni delle riunioni di redazione. A fare da grande madre, in questo breve romanzo molto arguto che incrocia gossip ed esoterismo nella loro identica funzione di culto del simulacro, c'è Milano. Una Milano imprevedibile, ambigua ma non certo moribonda. Perché le avventure di Gigi Lobo cominciano e finiscono proprio qui? «È il posto che conosco meglio al mondo. Ed essendo Gigi Lobo un lavoratore della comunicazione, non poteva che vivere e lavorare a Milano. Una storia di cinema l'avrei ambientata a Roma». Che città ha voluto raccontare? «L'ho presa dal punto di vista di un disadattato, uno che va più lento, esterno ai ritmi della produttività. La sua Milano è fuori squadra, si alimenta di fantasia, è subacquea, sotterranea. Ma non meno reale. Se penso a un aggettivo per definirla direi ambivalente». Per scovare il suo vip, Lobo ne segue le tracce sui muri, graffiti, tag, stencil. «E scopre una Milano diversa, che proietta desideri e ossessioni sui muri disegnando una specie di contromappa della città. Un codice simbolico che racconta un mondo diverso da quello ufficializzato dalla comunicazione». Anche per lei Milano è così? «In un certo senso sì. Quando stacchi la spina del lavoro, di Milano rimane una sensazione speciale, come legata una memoria stralunata, balorda e insonne. Una città divisa in due: di giorno lavora, di notte desidera altro. E non per forza lo sballo da cocaina. Il suo bello è che qui l'immaginario te lo devi costruire tu». E lei come se lo costruisce? «Girando il più possibile,a qualunque ora. Di questa città amo gli incontri: ne puoi fare eccome.E di gente con cose e storie da raccontare ce n'è parecchia». A Milano si può fare tardi dribblando i percorsi obbligati della movida? «Sempre meno, ma si può. Al Magnolia, alla Casa 139, alla bocciofila di via Padova, che resta una delle zone più belle, anzi è l'immagine del futuro di Milano, se questa amministrazione non facesse di tutto per trasformarla in un ghetto. Gli agenti immobiliari ti dicono che è meglio comprare a Lacchiarella, ma il futuroè lì.E poi in via Crespi c'è l'osteria di Atomo, e in viale Jenner c'è Pino, un ristorante italiano gestito da cinesi dove, per rapporto qualità prezzo, si mangia il pesce migliore di Milano. Consiglio anche il centro diurno del Giambellino, un pezzo di città incredibile dove si fa un vero lavoro sul territorio, con cene organizzate dalle diverse comunità del quartiere». Insomma, non una città morta. «Tutt'altro. Non sarà in gran forma, anzi diciamo pure che si presenta come una vecchia signora inacidita. Ma se la plasmi con la memoria e l'immaginazione scopri un fascino unico. Prenda piazza Libia, sembra De Chirico: metafisica, enorme, concentrica. Camminare da quelle parti è un'esperienza da fare» Che sapore ha Milano? «Più che un sapore, un odore: acqua stagnante». Il suo momento migliore? «In primavera, quando ti accorgi che anche qui ci sono gli uccelli che cantano».




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